|
|
|
Tutti coloro che operano in
cardiologia, in diabetologia, in endocrinologia, in dietologia,
sanno genericamente che il movimento fisico regolare è in grado
di abbassare la pressione negli individui che hanno valori
troppo elevati sia sistolici che diastolici. Uno dei meccanismi
più immediati che favorisce questo fenomeno è l'aumento della
cosiddetta "capillarizzazione" ovvero l'aumento in volume del
letto capillare. Effetto di lunga durata che - oltre appunto a
ridurre i valori pressori medi - migliora anche l'efficienza
dell'ossigenazione dei tessuti, con positivi risvolti sulla
qualità della vita. Ma una quantificazione specifica del
vantaggio ottenuto con il movimento è cosa recente.
Un primo importante lavoro che determina l'effetto sulla
pressione dell'attività fisica è quello di Whalton e colleghi
del National High Blood Pressure Education Program, che definisce tale effetto pari a una riduzione di 5
mm Hg (millimetri di mercurio) nella pressione sistolica, con
riduzione del 14% del rischio di mortalità per infarto. Lo
studio è svolto nell'ambito di un'indagine più ampia relativa ad
altre modifiche nello stile di vita come il peso corporeo, il
consumo di alcool ecc. che sinergicamente possono contribuire ad
ulteriori miglioramenti.
Ma uno studio ancora più dettagliato è quello finlandese, pubblicato su Hypertension nel 2004 che ha
esaminato più di 20.000 persone, suddividendole per tipo di
movimento svolto in tre categorie. Il livello più basso era
quello dei lavoratori di concetto (impiegati ecc.)
semisedentari. Poi c'era il livello intermedio di chi svolgeva
un lavoro più attivo (commesso, magazziniere) oppure si recava a
piedi o in bicicletta al lavoro (30') o lavorava in giardino più
di mezz'ora al giorno. Infine vi era il livello di chi svolgeva
un'attività fisica "istituzionale" (running, nuoto, bici) almeno
tre volte la settimana. Posto pari a 100 il rischio di
sviluppare patologia ipertensiva per i semisedentari maschi, il
rischio della categoria intermedia scendeva a 63 (63%) e negli
sportivi si abbassava ancora al 59. Nelle donne l'effetto dello
sport era invece del 82% nella categoria intermedia e del 71%
nelle sportive. La presenza di grasso corporeo influiva
negativamente: per BMI (body
mass index o indice di massa corporeo) tra 25 e 30 il
rischio ipertensivo peggiorava del 18%, mentre saliva
disastrosamente al 166% per BMI superiori a 30.
A nostro giudizio questi dati, se letti bene, sono esplosivi.
Riduzioni del rischio ipertensivo di tale portata a fronte anche
solo di blandi incrementi della propria attività fisica,
dovrebbero essere di forte impatto su qualunque medico che
rispetti il giuramento fatto in sede di laurea. Non solo gli
sportivi veri e propri hanno forti miglioramenti del loro stato
ipertensivo (presente o futuro) correndo, ma anche coloro che
semplicemente svolgono un'attività aerobica continuata per una
mezz'ora al giorno, sudando a sradicare erbacce, recandosi a
piedi al lavoro, o in qualunque altro modo simpatico la fantasia
ci suggerisca.
Ruberò alla Dr.ssa Lucini della facoltà di Medicina di Milano
un'immagine che mi ha colpito: il farmaco è come un apparecchio
fotografico dell'autovelox: lavora dove vi è un'infrazione,
ovvero una malattia diagnosticata. Ma se io ho un'auto che
rispetta i limiti ma che sta per infrangerli (in altre parole:
un ragazzo che ha una familiarità a rischio per l'ipertensione,
ma ancora sano), che posso fare? Farlo correre è l'unica arma
che in questo momento il medico ha a disposizione per prevenire
il problema. E il giuramento d'Ippocrate lo costringe a
prescrivere movimento. Non farlo lo renderà corresponsabile
dell'eventuale insorgere della patologia attesa. |
Luca Speciani
www.lucaspeciani.eurosalus.com
info@lucaspeciani.it
|
 |
|
> |
301
|
< |
Altri calendari
|
Forum
|
|
|
|
|